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Obliterazione della realtà PDF Stampa E-mail

3 Febbraio 2023

 Da Rassegna di Arianna del 29-1-2023 (N.d.d.)

Dopo aver cancellato nei mesi scorsi una marea di profili scomodi o averne cambiato i curricula ad arte, dopo aver trasformato il "Rogo di Odessa" in un incidente domestico, dopo aver cambiato ad hoc la paternità dei missili ucraini quando serviva a supportare una tesi Nato, l'ultima iniziativa brillante cui abbiamo assistito è far liberare Auschwitz non dall'Armata Rossa, ma da un sedicente esercito ucraino. Confidiamo che seguirà a breve l'elenco dei miracoli performati da Zelensky a suffragio della sua canonizzazione.

Ora, tutto questo farebbe ridere, farebbe ridere se non fosse l'indice della più pericolosa trasformazione di questo triste tempo. Naturalmente possiamo dire che, dopo tutto, che si pretende? È Wikipedia, mica una vera enciclopedia. Non puoi mica chiedere rigore? Ed è vero. Come è vero che  Facebook, o Google o altri sono imprese private e che dunque è nell'ordine della cose che agiscano secondo il proprio interesse. Chi può negarlo. Solo che non è neppure possibile negare che oggi il 90% dei giornalisti - quando proprio vuole essere scrupoloso e non fare copia-incolla dalle agenzie, - controlla le sue fonti su Wikipedia. Non si può negare che così fanno (senza ammetterlo) gli studenti e moltissimi professori. E non si può negare che, dopo la chiusura delle sezioni di partito, dopo la distruzione delle comunità locali e della vita di quartiere, praticamente l'unica arena di pubblica discussione politica rimasta in piedi è quella fornita dai social, quei social che sono direttamente o indirettamente influenzati dall'amministrazione americana, meglio dal loro apparato militare industriale. Fino a 15/20 anni fa era ancora uso recuperare una notizia importante su fonti cartacee accreditate. L'eredità del sapere cartaceo, che di per sé può essere falsificato come ogni altro sapere, aveva però una sua fondamentale inerzia, dovuta sia ai costi di produzione sia alla difficoltà di modificare fisicamente un'informazione stampata su carta. Se dovevi produrre un volume della Treccani facevi attenzione a non inserirvi corbellerie arbitrarie, perché le correzioni erano molto onerose, e i danni reputazionali ed economici potevano essere enormi. La digitalizzazione dell'informazione ha ridotto i costi di produzione e i costi di modifica. La riduzione dei supporti fisici e l'accesso alle informazioni sempre più spesso presso server remoti, "cloud", ecc. ha inoltre facilitato a noi utenti finali l'accesso a molte informazioni (ho un dubbio enciclopedico sulla pista da sci? Nessun problema, tiro fuori il telefonino e il problema è risolto.) Il risultato complessivo di questo sviluppo, recente ma massivo, è che non è mai stato così facile mutare e manipolare l'accesso ad ogni tipo di informazione; e che non è mai stato così facile orientare pubbliche discussioni e dibattiti politici.

Certo, nelle biblioteche, nelle emeroteche, nei luoghi di studio per gli storici e i filologi esistono ancora tracce, basi fondate, fonti effettivamente accreditabili. Ma - ed è questa la grande novità - ciò non rappresenta una vera preoccupazione per chi ha interesse a manipolare l'opinione pubblica, la quale galleggia come una tavola da surf sempre sull'onda del "si dice corrente", sufficiente a definire le decisioni nel presente e futuro prossimo. Possiamo ancora recuperare manoscritti secenteschi e verificarne il testo, ed è una bella soddisfazione intellettuale, ma francamente per la gestione del potere corrente è irrilevante. Basta che siano scomparse o messe in dubbio di volta in volta tutte le notizie e informazioni che toccano il discorso pubblico  presente e le decisioni degli organismi politici.

Il processo cui assistiamo è recente, molto recente, ma ha una potenza assolutamente straordinaria. In pochi anni abbiamo già assistito ad un'enorme capacità di riorientamento dell'opinione pubblica di massa, e in pochi altri anni potremmo trovarci a nuotare in un mondo completamente trasformato nei suoi riferimenti. Uno o due cicli di studio e il vecchio mondo della conoscenza storica e scientifica potrà essere integralmente rimpiazzato da una sua versione conveniente, a sua volta in perenne fluttuazione. Non c'è mai il bisogno di "cambiare tutto". Basta cambiare strategicamente di volta in volta ciò che rileva, rendendo inaccessibile ciò che disturba, per il tempo che serve. […]

Chi pensa che questo quadro sia tinteggiato in modo troppo fosco si culla in due illusioni. La prima è l'idea che esisterebbe pur tuttavia una pluralità di agenti economici in competizione, e che ciò può garantire una qualche pluralità informativa. Purtroppo la pluralità degli agenti economici in primo luogo non è poi così plurale, visto che le capitalizzazioni necessarie per contare in questo mondo (grande editoria digitale, informazione mainstream) sono elevatissime e le concentrazioni già enormi; in secondo luogo tale pluralità non è tale quando si toccano gli interessi di autoriproduzione del capitale, e dunque sul tema principale e dirimente nel dibattito politico contemporaneo la pluralità in competizione si traduce in garbate variazioni su un tema dove vige piena collaborazione. La seconda illusione è data dalla vecchia idea che l'esistenza di isole dissenzienti, di conoscenze di minoranza, garantisca in qualche modo sufficiente pluralità da impedire manipolazioni di massa. Qui si sottovaluta il fatto che i tempi odierni del cambiamento mettono fuori gioco i processi di accertamento del vero. Che un decennio o due più tardi si giunga a dimostrare che quella "rivoluzione colorata" era un'operazione sotto copertura dei servizi segreti non è una "vittoria della verità" di cui consolarsi. Una verità che emerge quando nessuna decisione ne dipende più è solo una curiosità. E peraltro, se la verità viene fuori è perché in quel momento non c'è più sufficiente interesse a offuscarla. Se invece tale interesse è ancora vivo, qualunque cosa, letteralmente qualunque cosa, può essere manipolata quanto basta da condurre l'opinione pubblica nel porto desiderato. È importante capire che non è necessario che la "gente" venga fermamente convinta di una certa falsità. Se non si riesce a fare di meglio, è sufficiente che ci sia abbastanza rumore di fondo da rendere qualunque verità indistinguibile e dubitabile. Fatto questo il resto del processo di persuasione viene prodotto con forme di ordinaria propaganda, senza bisogno di scomodare fondamenti o verifiche. Finché questo processo di obliterazione e sostituzione della realtà pubblica non viene preso sufficientemente sul serio da tutti quelli che hanno interesse alla verità, ogni altro tema corre il rischio di essere irrilevante.

Andrea Zhok

 
Le condizioni per la sovranità PDF Stampa E-mail

2 Febbraio 2023

 Da Rassegna di Arianna del 30-1-2023 (N.d.d.)

Il recente dibattito sull'invio dei carri armati Leopard all'esercito ucraino ha messo nuovamente in luce la straordinaria debolezza della (ex?) locomotiva d'Europa: la Germania. Quella che fino a pochi mesi fa era considerata una potenza egemone nel Vecchio Continente si è ritrovata letteralmente messa a nudo in pochi mesi in diverse sfere: quella politica (instabilità continua nel post-Merkel), quella economica (dipendenza energetica, crisi industriale causa sanzioni) e quella militare (esercito di livello zero). Chiusa in questa tenaglia, la Germania è stata costretta a prendere decisioni contrarie al suo interesse nazionale smantellando in pochissimo tempo anni di progettazione politica. L'occasione è ghiotta per utilizzare l'esempio tedesco come caso di studio per capire in cosa consista davvero la "sovranità" di un Paese. Le macroaree che conferiscono ad una nazione la possibilità di essere padrona del proprio destino (nel bene e nel male) sono tre: - la stabilità politica; - la potenza militare; - la stabilità finanziaria.

Dal punto di vista politico, quale che sia la forma di governo nei singoli paesi, una leadership forte nei casi delle autocrazie, una fiducia massiva nel partito/leader nelle democrazie illiberali o un consenso elettorale esteso nelle democrazie liberali (o un sistema bipolare dietro cui si muove un coeso deep state che rende su molti temi ininfluente il voto) è indispensabile per consentire ad un governo di prendere decisioni di carattere politico, economico (approvvigionamento energetico, stato sociale, fisco etc.) e militare. Quest'ultimo, in barba ai decenni in cui in molti Paesi europei (in primis quelli usciti sconfitti dalla guerra mondiale come il nostro o, giustappunto, la Germania) si è diffuso l'assioma secondo cui sarebbe stato più saggio appaltare all'esterno la propria difesa e ridurre al minimo la spesa militare perché "con quei soldi si possono costruire asili", è uno strumento indispensabile per poter affermare la propria sovranità. E lo stiamo vedendo con la guerra in corso: chi ha un esercito potente (Turchia, Israele, Cina, Francia, oltre ai grandi player coinvolti direttamente nel conflitto) prende decisioni, gli altri si accodano. Per esercito "potente" si intende ovviamente dal punto di vista numerico, ma anche in termini di preparazione, di versatilità (es. avere un'aviazione forte e una marina debole rende un esercito potente solo in alcuni scenari) e soprattutto di primato industriale e tecnologico. Questo punto è fondamentale: se i propri armamenti si comprano, o si realizzano in quella che ufficialmente si chiama "partnership" ma praticamente è un subappalto, non si è sovrani, perché non si avrebbe la possibilità di disporre liberamente delle proprie armi nel momento del bisogno. Il programma F-35 è un ottimo esempio. Il progetto è sviluppato da Lockheed Martin, BAE e Leonardo, con buona ricaduta occupazionale (in proporzione) per tutti. Ma le tecnologie, il supporto, il controllo sul loro utilizzo è appannaggio di una potenza sola (con rarissime eccezioni). Di pari passo procede il potenziale industriale. Se si hanno tecnologie proprie, siano esse obsolete o di straordinaria avanguardia, bisogna avere anche la capacità pratica di tradurle in armamenti (quindi potenziale industriale, materie prime, personale etc.) oppure di appaltarla all'estero con forme di partnership "vere".

La stabilità finanziaria è in qualche modo ciò che tiene tutto insieme visto che nel mondo globalizzato è a tutti gli effetti un'arma. Troppo debito pubblico in mano straniera rende vulnerabili. Troppo deficit lega le mani ai governi e non consente di fare Pil. Troppo poco Pil crea malcontento e instabilità. Troppa instabilità rende le economie preda di attacchi finanziari e fa cadere i governi.

Nessuna di queste sfere è prioritaria sull'altra, ma tutte si autoalimentano e il loro sostanziale equilibrio si traduce nella massima espressione possibile della sovranità. Tuttavia, anche in casi di squilibrio, avere un forte accento su due di loro capaci di minimizzare gli impatti dell'altra (emblematico l'esempio della Turchia, in perenne crisi economica) potrebbe essere accettabile a patto che si lavori per rientrare nell'equilibrio. Uno squilibrio di due di queste sfere o addirittura di tutte e tre non può rendere in alcun modo un Paese realmente sovrano ma solo trasmettere la sensazione. È ciò che è accaduto alla Germania: in tempi di pace sembrava indistruttibile, col cambio di scenario si è scoperta manchevole.

Utilizzando questo semplice specchietto è possibile tracciare una sorta di "pagella" per ogni singolo caso di studio. Dal mio punto di vista, in base a questi concetti emerge che in Europa (Regno Unito compreso) non ci sia alcun Paese che possa dirsi realmente sovrano, a eccezione della Francia. La quale, però, è in progressiva remissione negli ultimi decenni sia sul campo politico (è sempre più instabile nonostante una legge elettorale che la mette più possibile al riparo da ribaltoni anti-sistema) che su quello finanziario. Il suo equilibrio è insomma precario. Ma almeno c'è. Da qui il motivo per cui, ad oggi, i destini dell'Europa non si decidono in Europa.

Daniele Dell’Orco

 
Guerra europea contro l'Italia PDF Stampa E-mail

1 Febbraio 2023

L’Unione Europea è oggettivamente nemica degli interessi italiani. Oramai dovrebbe averlo capito chiunque, compresa l’ex-sovranista Giorgia Meloni e tutti gli altri eredi politici di Mario Draghi. Oddio, non c’era forse bisogno di attendere fino a questi ultimi mesi per intuirlo. Sarebbe bastata un’occhiata ai funesti “parametri di Maastricht” per accorgersene, per rendersi conto che questi erano stati creati su misura per favorire le economie di paesi europei che erano in oggettiva competizione con l’Italia (ed ogni riferimento alla Germania non è puramente casuale) e per imporre standard bancari privatistici che ci erano ostili (ed ogni riferimento alle banche “d’affari” anglosassoni non è parimenti casuale). Per tacere di tutto quanto è seguíto poi, fino a disegnare una Unione Europea che è oggi una macchina da guerra al servizio dell’aberrante ideologia (si fa per dire) dell’alta finanza mondialista, con il suo armamentario “politicamente corretto”: immigrazionismo, cancel culture e, naturalmente, un estremismo bellicista made in USA che potrebbe condurci dritto filato a una terza guerra mondiale.

Ma, senza andare troppo indietro nel tempo, basterebbe un’occhiata all’agenda europea di questi ultimi mesi per avere la prova provata dell’avversione dell’UE agli interessi italiani. Avversione mascherata dietro la volontà di accelerare forsennatamente quella “transizione energetica” sulla quale, peraltro, grava il sospetto di essere originata da un colossale errore di valutazione; se non anche – ma non vorrei proprio crederlo – da una gigantesca operazione di speculazione finanziaria. I supporter di una tale transizione (dalla donnetta di Bruxelles all’ingenua ragazzina cui hanno fatto credere di essere una specie di Giovanna d’Arco, dai clan della sinistra democrat di Washington ai geniali imbrattatori di monumenti di Roma e Parigi, a tutta intera la variopinta congerie gretina) sostengono che i mutamenti climatici e i conseguenti disastri ambientali siano dovuti all’azione dell’uomo, che sta “distruggendo il pianeta” con l’utilizzare i combustibili fossili e con altri comportamenti di minore impatto (giù giù fino ai sacchetti di plastica). Orbene – secondo costoro – per arginare tutto ciò e per “salvare il pianeta” occorre imporre una draconiana “transizione energetica”, cominciando dalla rapida eliminazione dei combustibili fossili e dalla loro sostituzione con fonti energetiche alternative. Naturalmente, per giungere ad una tale “transizione” ci sarà bisogno di spendere montagne di miliardi. Miliardi che saranno intercettati leggiadramente dai soliti noti di Wall Street e della City; mentre la necessaria “distrazione di massa” sarà garantita da qualcuno degli scandaletti di copertina sempre disponibili sul mercato del politicantismo d’accatto, con i soliti raccoglitori di briciole (tipo Qatargate) di cui ci si accorgerà cadendo dalle nuvole, con sussiegoso disappunto per la volgare violazione delle regole democratiche.

In realtà, la maggior parte dei climatologi è concorde nell’affermare che i mutamenti climatici siano dovuti solo in minima parte all’inquinamento prodotto dall’uomo, mentre per il 95% sarebbero riconducibili direttamente alle fasi dell’attività solare [vedi «Ecologismo all’amatriciana» su “Social” del 23 settembre scorso]. Basterebbe, dunque, spendere somme infinitamente più modeste per gli interventi di bonifica e di messa in sicurezza dei territori, senza bisogno di mettere in crisi gli equilibri energetici del mondo intero e, con essi, la qualità di vita degli abitanti dell’intero pianeta.

Ma lasciamo stare questi scenari megagalattici, e torniamo invece alle piccole cose, ai piccoli affari, ai piccoli attentati della quotidianità antitaliana che imperversa nella cosiddetta “Unione”. Limitiamoci agli ultimi provvedimenti assunti o da assumere a breve scadenza. Si comincia dalla cancellazione dell’industria automobilistica tradizionale e dal passaggio obbligato all’industria della “auto elettrica” da realizzarsi inderogabilmente entro il 2035. L’impatto sull’industria automobilistica italiana sarà – fra diretto e indotto – di circa 500 imprese in crisi e di 70.000 lavoratori licenziati (come da dichiarazione del Presidente di Confindustria). V’è poi la vera e propria guerra mossa all’agroalimentare e alla zootecnía, attraverso tutta una serie di provvedimenti tra loro legati dal fil rouge della lotta aperta contro gli interessi italiani. Si va da una generica avversione alla dieta mediterranea, passando per l’ostilità dichiarata (anche personalmente da certi altissimi papaveri di Bruxelles) per la zootecnía italiana, per le sue carni e per i suoi insaccati, accusati di essere cancerogeni; proseguendo col tentativo di promuovere prodotti proteici alternativi (farine di grillo e simili porcherie); per giungere infine all’ultima carognata, quella che vuole colpire l’export del nostro vino attraverso l’obbligo di una etichettatura terroristica e farneticante. Ma il culmine della guerra europea contro l’Italia è certamente rappresentato dall’imminente direttiva sul cosiddetto “efficientamento” delle abitazioni; anche questo – manco a dirlo – motivato dalla “transizione energetica”. Ebbene, secondo gli ecologici nemici dell’edilizia italica, entro il 2029 tutte le abitazioni europee dovrebbero rientrare almeno nella classe energetica E, ed entro il 2032 almeno nella classe energetica D. Questa direttiva green – secondo le stime di Confedilizia – colpirebbe in Italia non meno di 9 milioni di abitazioni, i cui proprietari sarebbero di fatto obbligati a spendere cifre ingentissime, pena l’impossibilità di vendere o affittare gli immobili. Sarebbe una patrimoniale mascherata, e salatissima. Al riguardo, si ricordi che i governanti di Berlino non hanno mai digerito il fatto che numerosissimi italiani siano proprietari delle proprie abitazioni, mentre la generalità dei tedeschi vive in case d’affitto. La Merkel aveva il chiodo fisso delle case degli italiani, che avrebbe voluto fossero date in garanzia del nostro debito pubblico. Nonostante gli sforzi, la Kanzlerin dovette rassegnarsi a subire quella “anomalía italiana”, anche perché nessuno dei governi succedutisi a Roma fu talmente sciocco da avallare un provvedimento che gli avrebbe messo contro milioni e milioni di cittadini elettori. Adesso, ci riprova la donnetta di Bruxelles, attraverso una prossima “direttiva” ammantata dai nobili ideali di transizioni del piffero, di riduzione della dipendenza dal gas russo, di lotta dura e pura ai mutamenti climatici, eccetera, eccetera.

Naturalmente, si spera che la Meloni batta un colpo, che si metta di traverso, che dia un segnale per avvertire che la pacchia delle angherie contro l’Italia sia veramente finita. Si spera, si spera… Ma in ogni caso, anche a prescindere dall’esito di queste ultime scandalose manovre antitaliane, credo che oramai sia chiaro e lampante che la Unione Europea ci è ostile, che lavora contro di noi, che colpisce i nostri interessi. Così come ci è ostile la sua banca “centrale” (cioè posseduta da soggetti privati che dovrebbero lavorare per il bene pubblico). E la linea della BCE non lascia ormai dubbi: le soluzioni geniali adottate dalla sua presidente – quella insopportabile Christine Lagarde – sono costate ai risparmiatori italiani nel 2022 qualcosa come 20 miliardi di euro, bruciati da una inflazione “passeggera” che dovrebbe agevolare – anch’essa! – la transizione energetica.

Non credo che ci possano essere ancora dubbi: dobbiamo uscire, dobbiamo scappare da questa camicia di forza che si chiama Unione Europea. Il problema sarà farlo con intelligenza, con gradualità, con la capacità di assorbire i contraccolpi negativi. Lo hanno già fatto gli inglesi, che pure dalla partecipazione alla cosiddetta Unione hanno avuto assai meno danni di noi. Perché non dovrebbero poter farlo anche gli italiani?

N.B. Il pezzo, naturalmente, non ha la pretesa di essere esaustivo. Non si parla, per esempio, del MES, uno strumento che sembra essere stato pensato appositamente per incaprettare l’Italia, con la scusa di soccorrere la sua Sanità. E non si parla nemmeno del PNRR, che per l’Italia ha più svantaggi che vantaggi, e che ci è stato di fatto imposto per costringerci a realizzare alcune “riforme” direttamente riconducibili alla “transizione energetica”.

Michele Rallo

 
Una verità tristemente semplice PDF Stampa E-mail

31 Gennaio 2023

 Da Rassegna di Arianna del 25-1-2023 (N.d.d.)

Alla luce dei primi mesi di governo Meloni, una questione si affaccia alla mia mente, relativamente ai margini di movimento della politica italiana. Ora, non c'è persona dotata di un ancorché modesto comprendonio che non abbia compreso come l'atteggiamento bellicista, e la retorica russofobica che vi si è accompagnata, hanno prodotto e produrranno a lungo termine un danno gravissimo alle sorti del paese. Un paese i cui servizi pubblici stanno collassando, un paese dove la sanità pubblica è stata devastata spingendo chi può nel privato, un paese che continua a perdere popolazione giovane con alte qualifiche parzialmente sostituita da immigrazione disperata con basse qualifiche, ecc. non poteva permettersi quello che si è permesso di fare. Un paese altamente industrializzato ma privo di risorse non poteva permettersi di distruggere i rapporti con il maggior fornitore di materie prime ed energia al mondo, con cui peraltro i rapporti erano ottimi.

Altrettanto, un paese come l'Italia, con il suo debito pubblico, non può permettersi di approvare un dispositivo come il MES, che facilitando i processi di "haircut" in caso di default sul debito finisce per innescare una tensione speculativa sui paesi finanziariamente più fragili. Come hanno osservato in molti, sottoscrivere il MES per l'Italia significa creare le condizioni per una profezia autoavverantesi, portando probabilmente il paese al suo primo default nella storia nazionale. Ora, posto che non vi è alcun dubbio che queste condotte danneggiano gravemente un paese già devastato dalla demenziale strategia pandemica dei precedenti governi, la vera questione è: perché lo fanno? È davvero impossibile resistere alle pressioni - nessuno si illude che non ci siano - degli USA, come prima sembrava impossibile resistere alle pressioni della Germania? Tutti abbiamo letto il nostro Machiavelli, e nessuno si aspetta che la politica traduca immediatamente l'ideale in terra, senza compromessi. E tuttavia i compromessi hanno senso se e finché consentono di ottenere un vantaggio complessivo di sistema. Ma quando, non da oggi ma da tre decenni almeno, tutto ciò che le nostre classi dirigenti fanno conduce ad un avvitamento senza fine, ad un peggioramento delle condizioni dei più, ad una prospettiva letale per il paese tutto, non possiamo parlare di compromessi, di realismo machiavellico. E allora di cosa dovremmo parlare?

Argomenti in termini di ricatto sono comprensibili, ma deboli. Le classi dirigenti di paesi con dimensioni e collocazione strategica comparabile, come la Turchia, o addirittura di paesi con dimensioni e collocazione pari ad una regione italiana, come Serbia e Ungheria, riescono a dire dei no, riescono spesso a trattare per ottenere un miglior posizionamento per il proprio paese. Perché questo sembra impossibile per l'Italia? Vorrei convincermi che ci sono sottili motivazioni strategiche, ma la verità, temo, sia tristemente semplice. Non c'è ricatto o condizionamento sufficiente a spiegare una classe dirigente che suicida il proprio paese. Al netto di tutti gli arzigogoli, di tutte le scuse, di tutte le spiegazioni raffazzonate e barocche c'è quella combinazione di corruzione personale e vigliaccheria umana che le classi dirigenti italiane hanno così spesso mostrato nella storia, e che dipendono probabilmente dal fatto che, non da oggi, corruttibilità e viltà sono da noi le prime virtù curriculari per le carriere più prestigiose.

Andrea Zhok

 
Dinastie senza corona PDF Stampa E-mail

29 Gennaio 2023

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 Da Comedonchisciotte del 26-1-2023 (N.d.d.)

[…] La globalizzazione – economica, culturale, politica, produttiva, finanziaria- perseguita da molto tempo, vincitrice unica dopo il crollo del comunismo reale, ha portato alla crescita di un nuovo attore planetario dotato di un immenso potere. Si tratta del grumo di persone, imprese, visioni dell’economia e del mondo che detengono e possiedono la tecnologia informatica e digitale, motore e carburante della quarta rivoluzione industriale. Sono i giganti di Silicon Valley (e non solo), riuniti nell’acronimo GAFAM (Google, Amazon, Facebook/Meta- Apple, Microsoft), insieme con il conglomerato di aziende, conoscenze e tecnologie che hanno rivoluzionato il mondo attraverso la scoperta delle applicazioni tecnologiche legate all’informatica, all’automazione e in generale al mondo di Internet, una rivoluzione paragonabile alla scoperta delle tecnologie del ferro e alla macchina a vapore. All’universo GAFAM molti aggiungono i NATU, l’acronimo che riunisce Netflix (intrattenimento e spettacolo), Tesla (capofila della robotica e della cibernetica, la creazione di Elon Musk) e due piattaforme online – Airbnb e Uber, che hanno rivoluzionato l’una il mondo immobiliare, l’altra i trasporti e la mobilità. Questo gruppo di colossi- ampiamente integrato e con sede negli Usa, benché orientato alla deterritorializzazione – ha reso possibile il Nuovo Ordine Mondiale basato sul “capitalismo della sorveglianza”, la felice espressione coniata da Shoshana Zuboff. Ovvero, ha costituito una forma nuova di potere: la raccolta, accumulo, incrocio, uso, compravendita di dati e metadati, ossia informazioni su tutto e tutti. In parole chiare: lo spionaggio universale mascherato da “trasparenza”.

Un altro nome collettivo di tale sistema è Big Data. Il potere si è fatto biopotere – ossia comando, controllo e sorveglianza sull’esistenza quotidiana di persone e istituzioni- e addirittura biocrazia, dispositivo organizzato di controllo sulla vita, a partire dal corpo fisico degli individui. Il programma del biopotere prevede il superamento della creatura umana attraverso l’ibridazione con la macchina – impianto di microchip, intelligenza artificiale, robotica, cibernetica- facilitato dalle straordinarie possibilità di alcune nuove conoscenze, riunite nell’acronimo NBIC, nanotecnologia, biotecnologia, tecnologia informatica e scienze cognitive o neuroscienze. Dall’interazione di questi strumenti tecnologici, posseduti in regime di oligopolio, protetti dall’intangibilità della (grande) proprietà privata con il sistema dei brevetti e delle privative industriali, discende la nuova, insidiosissima ideologia delle élite, il transumanesimo. La punta di lancia di questo progetto è il Forum Economico Mondiale diretto da Klaus Schwab, il cui teorico di riferimento è Yuval Harari, scrittore futurologo, strumento privilegiato dell’agenda dei vertici tecnologici e dei signori del denaro.

Comanda un singolare ircocervo, la Mammona postmoderna: l’alleanza tra le grandi imprese tecnologiche post-industriali- che hanno rivoluzionato il commercio (Amazon), la comunicazione (Facebook, Twitter), dominano Internet (Google) e possiedono le competenze, le strutture di ricerca e i presidi industriali che hanno cambiato la mappa non solo economica del mondo (Apple, Microsoft, IBM). In pochi anni l’oligopolio tecnoscientifico è diventato il centro nevralgico della globalizzazione, dotato di una ideologia e di una governance globale ed è entrato a vele spiegate nel salotto buono dell’alta finanza.  Quel mondo assolutamente nuovo non avrebbe potuto assurgere a braccio secolare e avanguardia del Dominio se non in sinergia ed alleanza con i signori del denaro, primi mentori e generosi finanziatori. Se oggi uomini come Bill Gates, Mark Zuckerberg, Jeff Bezos, Elon Musk, Ray Kurzweil – guru di Google e transumanista convinto- Ray Dalio, Vinton Cerf e pochi altri sono ai vertici della ricchezza e del potere è perché il loro indiscutibile genio è stato utilizzato dalle cupole del denaro, dapprima al loro servizio, poi cooptato in un’alleanza strategica.

È la tenaglia che stringe gli Stati, l’economia, i popoli e i singoli individui in un progetto totalitario fintamente morbido, il soft power che non usa la forza bruta ma l’immensa superiorità di risorse finanziare, moltiplicate dal controllo delle tecnologie di uso quotidiano e dal sapiente utilizzo delle neuroscienze. Mezzi che diventano fini; di qui una delle convinzioni popolari più difficili da smontare: l’obiettivo di costoro non è (più) il denaro, ma il dominio sull’umanità, sino alla modifica della condizione umana nel transumanesimo.  Il denaro è uno strumento, non l’obiettivo: sarebbe riduttivo per chi si è appropriato dell’emissione monetaria e crea il denaro dal nulla, prestandolo agli Stati. Siamo al nocciolo: il mondo – o almeno l’Occidente collettivo di cui siamo una propaggine- è in mano ad un’alleanza strategica tra il Denaro- rappresentato dal sistema finanziario (banche centrali, fondi di investimento, corporazioni multi e transnazionali- TNC, un altro maledetto acronimo che non fa capire come stanno le cose) e le imprese di tecnologia avanzata. Poiché è l’aratro che traccia il solco, ma è la spada che lo difende, la Mammona postmoderna ha una serie di strumenti operativi: gli eserciti occidentali, soprattutto quello americano, con le numerose agenzie riservate e organizzazioni di copertura (molte ONG lo sono) che integrano e rendono planetario il suo potere. Nel passato, misero in guardia da tale grumo onnipotente non paranoici complottisti ma almeno tre presidenti americani, Woodrow Wilson (che pure ne favorì l’ascesa e fu protagonista della nascita della banca centrale, la Federal Reserve), F.D. Roosevelt e Dwight Eisenhower, che nel 1961, nel discorso di congedo dalla Casa Bianca, così disse: “L’America deve vigilare contro l’acquisto di un’ingiustificata influenza da parte del complesso militare-industriale e il pericolo di diventare prigioniera di un’ élite scientifico-tecnologica.” Parole al vento, purtroppo.

Ma se siamo in grado di individuare nomi e volti del biopotere tecnologico, ci è più difficile identificare i signori del denaro. Innanzitutto perché hanno a lungo coperto se stessi, evitando di apparire e comparire, burattinai dietro le quinte, come rilevò Benjamin Disraeli, primo ministro dell’Inghilterra imperiale, già nel secolo XIX. Si tratta prevalentemente di dinastie senza corona che si passano il testimone da generazioni; se ne fa parte per diritto di sangue e attraverso matrimoni tra rampolli delle grandi famiglie, come nelle casate nobiliari del passato. Il nome più conosciuto è quello dei Rothschild, israeliti di origine tedesca stanziati strategicamente da secoli nelle capitali politiche e finanziarie del mondo. La loro potenza e ricchezza non è calcolabile; hanno attraversato guerre e rivoluzioni finanziando spesso entrambe le parti in lotta; installato e rovesciato governi e regimi con l’arma del denaro e del debito, foraggiando fazioni o capi politici; dominano il mercato dell’oro, il cui prezzo è fissato presso di loro a Londra. Mesi fa, un Rothschild ha infranto il tradizionale riserbo della dinastia schierandosi in termini violenti a favore della guerra contro la Russia. Quelli dello Scudo Rosso (rot schild) non sono gli unici e con le altre dinastie e famiglie, Morgan, Sachs, Rockefeller, Warburg e poche altre costituiscono un formidabile cartello che ha in mano il mondo finanziario ma anche la filiera dei traffici industriali, energetici e alimentari del pianeta. Un esempio di riservatezza sono i Mc Kinley, proprietari della Cargill, gigante del grano: non figurano in Borsa, possiedono immensi territori coltivati nel mondo, navi, silos e porti. Da loro dipende se popoli interi possono sfamarsi e a quale prezzo. In molti gangli del sistema è rilevante la componente di ascendenza ebraica. Enorme è il potere dei fondi di investimento, conglomerati finanziari più potenti di gran parte degli Stati nazionali, che dominano e indirizzano i mercati; in larga misura essi “sono” il mercato. Il più grande, Black Rock, amministra attivi per diecimila miliardi di dollari (due volte e mezzo il Prodotto Interno Lordo della Germania, cinque volte quello dell’Italia). Il suo massimo dirigente – Larry Fink- è uno degli uomini più potenti del mondo e Black Rock si è ora impossessata di fatto dell’economia e delle risorse della sfortunata Ucraina. Nondimeno, i grandi fondi, di cui solo Allianz Group – galassia Rothschild- ha sede in Europa- Vanguard Group, Fidelity Investments, State Street Global, Capital Group, Goldman Sachs Group, restano strumenti, sia pure di primaria importanza. Il potere è nelle mani della cupola delle grandi famiglie del denaro e dei giganti tecnologici, all’ombra del Deep State, l’apparato militare e riservato dell’anglosfera. Un complicato, fittissimo intreccio di partecipazioni azionarie incrociate fa sì che Mammona – il nucleo dominante di finanza, imprese tecnologiche e corporazioni multinazionali (TNC)- sia costituita da un numero di soggetti incredibilmente basso. L’oligarchia è reticolare, assai ben strutturata, ma il livello apicale è formato da pochissime persone fisiche dal potere pressoché illimitato.

Un capitolo essenziale riguarda, nel mondo contemporaneo, il potere di chi gestisce e controlla le reti di comunicazione e la struttura Internet, l’autostrada digitale su cui viaggiano tutti i dati, le transazioni, le idee, gli atti, le decisioni: il sistema nervoso centrale di un mondo dominato dalle informazioni e dalla velocità, il tempo reale. In quest’ambito, la cupola occidentale- nella solita sinergia tra grandi soggetti privati e strutture degli Stati guida, Usa, Israele, Gran Bretagna, mantiene un primato rilevante, insidiata dal più grande Stato nazionale, la Cina, all’avanguardia nella tecnologia delle comunicazioni su fibra 5G, semi monopolista nel possesso e nella lavorazione delle Terre Rare, i diciassette elementi della tavola periodica di Mendeleev da cui dipende lo sviluppo e la funzionalità del Moloch tecnologico, scientifico, elettronico e informatico. Chi controlla tutto ciò e le fonti energetiche che sostengono i modelli di sviluppo, di produzione e di riproduzione del dominio, comanda il mondo ed è destinato a improntarlo nelle idee, nei modi di vita, nella scelta di gusti, valori e principi.  Le dinastie del denaro fanno la parte del leone, ma l’egemonia è oggi in discussione per l’emergere di nuovi soggetti radicati nell’est del mondo. L’osservazione empirica, prima ancora della ferrea logica geopolitica, mostra che le crisi odierne – anche il conflitto tra la Russia e la Nato per interposta Ucraina- sono mosse di scacchi nel “grande gioco” per il controllo delle risorse del mondo, dei flussi finanziari che le movimentano, delle rotte chiave del commercio. La nostra cartografia non può dimenticare che il potere del denaro è in sé inerte e deve essere alimentato costantemente da un sistema di relazioni, credenze e valori capace di mantenere e estendere, con la collaborazione di settori specializzati della popolazione –scienziati, economisti, intellettuali, militari, operatori della comunicazione-  un consenso che permetta la perpetuazione delle scelte, l’obbedienza delle masse, l’influenza sui governi, l’orientamento, il controllo. A tale fine agisce una serie complessa di strumenti operativi, organizzazioni, associazioni, gruppi d’ influenza e poteri derivati che rispondono alla cupola, una sorta di pool di ministeri e assessorati di servizio divisi per settori e territori. Il sistema opera da alcuni secoli, si è rafforzato dopo le due guerre mondiale e con moto accelerato dopo la sconfitta del modello comunista sovietico. Il Dominio ha progressivamente raffinato e diversificato i suoi bracci operativi in tutti gli ambiti, sino a costruire una salda rete globale in cui pubblico e privato si confondono ed intersecano sotto la direzione dei “padroni universali”.

 Roberto Pecchioli

 
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28 Gennaio 2023

 Da Rassegna di Arianna del 25-1-2023 (N.d.d.)

La televisione ci avvezza sin da bambini a guardarla in uno stato di rilassamento e di non vigilanza, e a lasciarle il controllo della nostra attenzione, così ci abituiamo a sederci davanti allo schermo in condizione di ricettività acritica e tendiamo ad assorbire come vere le sue storie:

È in corso un cambiamento climatico interamente dovuto all'uomo e non a processi naturali. Le automobili elettriche inquinano meno di quelle a motore termico. I mercati sono i migliori e naturali regolatori dell'economia, prevengono e correggono le crisi, inducono efficienza, occupazione ed equità. Il virus è nato da un pipistrello e da un pangolino, non è prodotto di laboratorio. Chi si vaccina non si ammala, chi non si vaccina si ammala e muore. Il vaccino era già stato testato per efficacia e innocuità quando è stato comperato dalla Commissione Europea. Il Pentagono è stato centrato da un aereo che subito si è smaterializzato senza lasciare rottami. “Mani pulite” combatteva la corruzione e le privatizzazioni hanno rafforzato la nostra economia. Con l'euro lavoriamo meno, guadagniamo di più, abbiamo tasse più leggere, siamo protetti dall'inflazione. Gli Stati Uniti rispettano una legalità internazionale ed esportano la democrazia, al contrario della Russia, che è una dittatura criminale. Zelensky è un difensore della libertà e del pluralismo. Possiamo spingere indefinitamente le escalation senza rischio di una guerra nucleare che ci elimini tutti. È indifferente per un bambino essere allevato da una coppia omosessuale o eterosessuale. L'Iraq era pieno di armi di distruzione di massa e aveva cooperato con Al Qaeda per l'attacco alle Torri Gemelle. Lo Stato per 30 anni non ha arrestato Matteo Messina Denaro perché ignorava dove fosse. Banca d'Italia non ha alcuna responsabilità in alcuno dei molti crack bancari degli ultimi anni. I banchi a rotelle servivano a combattere il contagio. Gli immigrati sono risorse che si possono integrare e non aumentano la criminalità né spesa pubblica. Eliminare il contante serve a combattere l'evasione fiscale. L'identità digitale ci rende liberi.

Marco Della Luna

 
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